I Limiti del Territorio

10-06-12

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LIMITI   DEL   TERRITORIO

 



  Prof. MAURO  MARIOTTI

"Et haec quinque loca vocantur quinque Terre ut scilicet privilegio et beneficio vini hanc dignitatem denominatione adepta sint inter ceteras terras orientalis ripariae..."
Con queste parole della "Descriptio orae ligusticae" nel 1448 Jacopo Bracelli introduce per la prima volta il termine "Cinque Terre" attribuendolo ad una zona agraria distinta dal resto della antica Repubblica Genovese soprattutto in virtù della propria eccellente produzione vinicola. E' probabile, ma non sicuro, che tale zona coincidesse col territorio marittimo compreso fra Monterosso e Riomaggiore. In precedenza i diversi luoghi e centri delle Cinque Terre erano indicati singolarmente. I confini delle Cinque Terre sono sempre rimasti abbastanza indefiniti; Agostino Giustiniani, nei suoi "Annali" del 1537, le considera estese per quindici miglia da Levanto a Portovenere; in altre occasioni sono state identificate coi territori amministrativi dei comuni di Monterosso, Vernazza e Riomaggiore comprendendo a nord-ovest anche la Valle di Albareto, che dal punto di vista fisiografico appartiene alla Val di Vara, e limitandoli a levante dalla Punta Merlino.
Mentre topograficamente parlando è facile individuare una unità territoriale che dalla Punta del Mesco si estende sul mare sino a Portovenere - delimitata dal crinale che risale lo stesso Promontorio del Mesco e dalla displuviale quasi parallela alla costa - nella realtà locale il tratto a est di Punta Merlino e indicato col nome di "Tramonti" (Tramonti di Biassa o Tramonti di Campiglia) a giustificare la terra che per gli abitanti del Golfo di La Spezia e oltre i monti, dove cala il sole alla sera. Il nome delle Cinque Terre è legato, fin dalla sua origine, a celebratissimi vini; a questo proposito occorre far presente che il decreto presidenziale del 29 maggio 1973 riconosce la denominazione di origine controllata (D.O.C.) ai vini prodotti nei territori amministrativi di Riomaggiore, Vernazza e Monterosso e nella limitrofa zona di Tramonti sino al confine col comune di Portovenere (in prossimità di Casa Boccardi).




CARATTERI   ANTROPICI   DEL   TERRITORIO

STORIA   DELL'INSEDIAMENTO  UMANO




EPOCA PREROMANA.


Le prime testimonianze della presenza umana nel territorio sono nei depositi della Caverna dei Colombi all'Isola Palmaria. Si tratta dei depositi più ricchi e significativi della Riviera di Levante, tuttavia essi hanno subito dei rimaneggiamenti che non hanno permesso a numerosi studiosi di datare con sicurezza i reperti e stabilire se la grotta fosse abitata dall'uomo già nel paleolitico. Le ricerche nella grotta iniziarono ad opera di G. Capellini nel 1869 - dopo che questi aveva trovato sul vicino Monte Castellana una freccia di selce - e proseguirono ad opera di E. Regalia, D. Carazzi, U. Mazzini ed altri fino alla metà di questo secolo. Nel complesso i depositi fornirono crani di uomo adulto, mandibole di bambini, numerosi pezzi di vertebre, coste, parietali, tibie e ulne di giovani e di adulti, numerose ossa fossili di mammiferi (lince, orso, gatto selvatico, cervo, bove - forse uro -, pecora, capra, ecc.) scarse ossa di corvidi e colombi, pochissime di pesci, molte conchiglie marine e di gasteropodi terrestri. Inoltre furono trovate le ossa di animali particolarmente legati ai climi freddi (ghiottone, ermellino, camoscio, gufo delle nevi) dei quali si è gia fatto cenno.
Mescolati tra le ossa vennero rinvenuti anche alcune centinaia di manufatti in selce o in diaspro rosso (punte di frecce, coltellini, raschiatoi, percussori, lisciatoi), pezzi d'osso soprattutto di cervo, foggiati a punteruoli o a pugnali, ornamenti (denti e conchiglie forate), ecc.
Quantunque dubitativamente, si è affermato che i resti fossili ed i manufatti, ora conservati nei musei di La Spezia e di Firenze, appartennero a cacciatori e allevatori vissuti nel paleolitico superiore (30.000-10.000 anni A.C.) quando l'isola era ancora attaccata alla terraferma.
Certamente la grotta fu utilizzata a scopo sepolcrale anche nella prima età dei metalli (eneolitico: 3.000-2.000 anni A.C.) quando l'isola si era già separata. A tale periodo sono fatti risalire i resti umani e le collane di conchiglie forate ritrovate negli strati superiori.
Il neolitico (5.000-3.000 anni A.C.), è invece testimoniato da asce levigate di una particolare pietra verde, la "nefrite". Questa è una varietà di actinolite che si trova nella Liguria orientale in corrispondenza degli affioramenti di serpentiniti (Libiola, Monterosso); ha colore verdastro chiaro o grigio-verdastro con screziature dovute ad inclusioni di minerali diversi.
Tutti questi dati porterebbero ad affermare tale successione:
1) cacciatori con domicilio stabile o temporaneo in caverne o ripari rocciosi (paleolitico superiore),
2) cacciatori che esercitavano anche la pastorizia (bovini, ovini, suini) (neolitico),
3) allevatori (bovini, ovini, suini) e agricoltori (orzo, grano, farro, ecc.) che praticavano abbastanza intensamente anche la caccia (eneolitico).
La caccia, favorita da ambienti estesamente boscati e ricchissimi di selvaggina, rappresentò per millenni, probabilmente ancora all'epoca romana, una fonte primaria di risorse.
Altre manifestazioni non facilmente databili, ma sicuramente antiche sono i Menhir, grandi pietre che venivano infisse verticalmente nel terreno. Uno di questi è presente nella zona di Tramonti presso la Cappella di S.Antonio ed un altro sullo spartiacque presso il Monte Capri (sopra a Volastra). Secondo alcuni studiosi rappresentano i precursori delle statue-stele, grandi pietre scolpite con raffigurazioni antropomorfe, assai diffuse in tutta la Lunigiana e risalenti ai periodi dall'eneolitico all'età del Ferro. Secondo altri i menhir avevano funzione calendariale.
E' con l'età del bronzo (intorno a 1.400 - 1.000 anni A.C.) che si afferma una organizzazione sociale comune a quella di altri settori liguri: i centri elementari, "vici", erano riuniti in piccole circoscrizioni etnico-territoriali autonome, i "pagi", facenti capo a loro volta ai "castella" o "castellieri". Questi ultimi erano ubicati in posizioni dominanti ed avevano funzioni prevalentemente di difesa. Nelle aree di crinale era invece localizzato il "compascuum", terreni di comune fruizione tra i pagi, una sorta di cooperativa ante litteram, della quale fanno fede tuttora le "comunaglie", terreni che nelle Cinque Terre sono disposti a cavallo dello spartiacque.
II castelliere più vicino alle Cinque Terre fra quelli finora individuati è ubicato nella Valle di Pignone sul Monte Castellaro; gli scavi ivi effettuati hanno portato alla luce una considerevole quantità di frammenti di vasi ceramici decorati che indicano un insediamento stabile ed importante.
E' probabile che nelle Cinque Terre vi fossero alcuni centri localizzati nella parte più nord-occidentale e quindi più vicini allo sbocco nella Valle di Pignone, centri che dipendevano dal castelliere di Monte Castellaro.
L'organizzazione "pagense" rimase sino all'epoca in cui i Romani terminarono la conquista dei Liguri nel 177 A.C., anno di fondazione della colonia di Luni. Probabilmente ancora più a lungo rimasero usi e tradizioni liguri nelle Cinque Terre, un territorio aspro e scarsamente appetito dai Romani che certo prediligevano la pianura più produttiva della Magra.
Al II secolo A.C. risalgono infatti le tombe "a cassetta" ritrovate sul Monte Soviore sopra Monterosso (a 400 m di quota) e sul Monte S. Croce sopra Vernazza. Si tratta di tre sepolcri dalle caratteristiche prettamente liguri: ognuno di essi è costituito da un piccolo vano delimitato da sei lastroni nel cui interno era conservata l'urna con le ceneri del defunto. La tomba di M.Soviore aveva i lastroni in laterizio ed all'interno un vaso-ossario con ciotola per coperchio, una coppa ed un vaso; delle due tombe di M. S.Croce, una andò distrutta, l'altra aveva i lastroni in pietra e conteneva un'urna cineraria con ciotola in creta per coperchio, una fusarola in terracotta ed un pezzo di ferro.
Circa le principali vie di comunicazione utilizzate in epoca preromana sono state fatte numerose ipotesi. Quella più accreditata accetta l'esistenza di due itinerari. Il primo da Portovenere attraversava a mezza costa tutte le Cinque Terre seguendo grosso modo gli attuali sentieri 1c (ormai intransitabile) e 3 ed una direttrice sottostante alla "Strada dei Santuari"; tale itinerario doveva probabilmente essere utilizzato per trasporti di materiali e per attività connesse all'agricoltura.
Il secondo doveva svolgersi invece lungo il crinale e servire per una mobilità veloce e attività di caccia.
Questi assi longitudinali dovevano collegarsi trasversalmente con i "castellari" allineati in posizione più arretrata sulla direttrice Pegazzano - Pignone - Monte Bardellone - Montale di Levanto. Tale rete viaria non esclude l'esistenza già in epoca preromana di un approdo presso Vernazza e quindi di traffici marittimi locali.
 

EPOCA ROMANA

Le tribù liguri rappresentarono un forte ostacolo alla romanizzazione tanto che probabilmente i Romani giunti alle soglie orientali delle Cinque Terre rinunciarono ad una vera conquista dell'impervio territorio e concentrarono le loro attività nell" Agro lunense" dove numerose sono le testimonianze archeologiche - prima fra tutte l'antica città di Luni - ed i toponimi fondiari romani. L'organizzazione pagense ligure perdurò quindi in nome di una relativa autonomia anche durante la dominazione romana e oltre fino all'alto Medioevo quando fu assorbita dalla organizzazione religiosa delle pievi e dei feudi vescovili.
I Romani avevano tuttavia notevoli interessi anche a Portovenere le cui origini sono fatte risalire alla dominazione romana. Il centro, già citato da Strabone nel 50 A.C., doveva avere un carattere eminentemente portuale e servire all'imbarco del marmo portoro già allora estesamente cavato. Non dovevano però mancare le ville patrizie come quella del Seno di Varignano della quale permangono le vestigia.
Si è disquisito molto sulla identificazione o meno del "vinum lunense" celebrato da Plinio con l'amabile vino delle Cinque Terre e quindi sul fatto che già in epoca romana vi fosse una estesa viticoltura in questo tratto della Riviera, ma a tutt'oggi non risulta essere stata dettata una parola definitiva. Incerta, anche se probabile, è pure l'identificazione dei toponimi di Monterosso, Vernazza e Corniglia con le localita Rubra, Bulnetia (0 Vulnetia) e Cornilium. Secondo alcuni studiosi il nome "Rubra" si deve riferire ad una famiglia patrizia della Roma Repubblicana insediatasi dopo la deportazione dei Liguri, mentre "Cornilium" e "Vulnetia", affrancatisi da altrettante famiglie romane, ai quali furono destinate terre confiscate. E' da ricordare anche che il nome "Cornelia" si legge su anfore vinarie ritrovate a Pompei, ma non vi è alcuna certezza che il vino che contenevano provenisse proprio dalle colline di Corniglia.
Per quanto riguarda la rete viaria occorre dire che per secoli i Romani preferirono evitare la costa della Riviera di Levante e da Luni dirigersi verso la pianura Padana. Nel 109 A.C. infatti il console Emilio Scauro fece costruire una strada (Aemilia Scauri) che raggiungeva Piacenza collegandosi alla Via Postumia. Attraverso questa si poteva arrivare a Dertona e da qui con un'altra strada, costruita dallo stesso console, al mare sulla Riviera di Ponente a Vado Ligure. Tale via aveva probabilmente una diramazione secondaria che seguiva il fondovalle del Vara e si addentrava sino a Pignone e a Soviore. Tale diramazione venne prolungata da Brugnato verso Genova dando luogo alla strada denominata poi impropriamente Via Aurelia. Non è improbabile che nell'età augustea una parte delle popolazioni liguri abbandonasse le scomode località di montagna per unirsi ai coloni romani nel lavoro delle fattorie agricole sorte attorno alla città di Luni. Al contrario sul finire dell'impero romano, intorno al V secolo, in seguito a carestie e terremoti, si dovette assistere ad un movimento opposto, cioè ad un ritorno verso le colline e le zone montuose dove l'agricoltura seppure praticata con mezzi primitivi garantiva l'esistenza. A questo esodo contribuirono nei secoli successivi le invasioni barbariche dei Goti, i domini bizantino e longobardo e le incursioni e i vandalismi dei Saraceni che avevano le loro basi in Corsica e in Provenza.

IL MEDIOEVO

II primo medioevo (V-VIII sec.) è caratterizzato dalla presenza bizantina e dal consolidamento dell'organizzazione ecclesiale. Quasi certamente monaci orientali arrivarono nel VI secolo con l'esercito bizantino ed eressero una chiesa sull'Isola del Tino per conservarvi sacre reliquie portate in salvo dall'incalzante minaccia di Vandali ed Arabi. Secondo alcuni, inoltre, l'attuale Santuario di Reggio, sopra Vernazza, sarebbe sorto come pieve per difesa del confine bizantino e si identificherebbe con la località "Bulnetia" citata dall'Anonimo Ravennate nella sua Cosmographia del VI-VII secolo.
A Soviore sopra Monterosso un altro centro religioso bizantino venne probabilmente distrutto nel 644 dai Longobardi di Re Rotari.
Fino al X secolo si affermò una organizzazione pievana con i maggiori centri (pievi) localizzati a Marinasco - vicino a La Spezia - Pignone e Ceula (o Montale) presso Levanto. E' probabile che inizialmente i confini delle pievi ricalcassero grosso modo quelli dei pagi preromani. La parte più orientale delle Cinque Terre dipendeva dalla pieve di Marinasco, mentre Vernazza e Monterosso da quella di Pignone. Successivamente si ebbe una suddivisione che portò ad una organizzazione più capillare con pievi in Monterosso, Vernazza, Corniglia, Riomaggiore e Portovenere. Ciò determinò un rafforzamento del cristianesimo e la definitiva sconfitta dei residui di paganesimo che ancora si annidavano nel territorio.
Nel  950 l'intera Liguria venne suddivisa da Berengario II, re d'Italia, in tre marche (da 0vest: Arduinica, Aleramica e Obertenga). Nella marca obertenga, che aveva per capitale Luni, ricadde la Riviera di Levante e conseguentemente l'area delle Cinque Terre. La minaccia saracena non permise inizialmente lo sviluppo lungo la costa e la popolazione rimase prevalentemente distribuita nei centri più arretrati (Soviore, Reggio, Volastra, ecc.).
Tuttavia l'accertata esistenza, gia agli inizi dell'XI secolo, di un castello nel paese di Vernazza testimonia iniziative militari che nel giro di pochi anni permisero una sicurezza difensiva nei confronti dei saraceni ed il successivo incremento dei centri marinari di Vernazza e Monterosso.
Nell'XI secolo acquistò grande importanza il Monastero di S. Venerio sull'Isola del Tino, rifondato nel 1056 dai Benedettini. Esso in seguito a ripetute donazioni divenne proprietario delle tre isole, ma anche di terreni situati presso Portovenere, Levanto, Moneglia ed anche più distanti (persino in Corsica). II monastero fu un importante centro di propulsione per l'agricoltura dettando regole per la coltivazione degli olivi, delle viti e dei fichi. Il resto delle terre era proprietà di diversi feudatari: il potere civile con i marchesi di Massa-Corsica, i signori di Vezzano, di Lavagna, di Carpena, di Ponzò, di Corvara, di Ripalta, ecc. e quello religioso (ma fortemente temporale) dei vescovi-conti di Luni. L'organizzazione feudale accanto a quella religiosa deve aver contribuito non poco a vitalizzare le Cinque Terre anche se la configurazione definitiva dei singoli centri si ebbe a partire dal XII secolo, cioè quando la storia di queste terre progredì di pari passo con quella di Genova.
Nel 1113 Genova occupa Portovenere, allora costituita da poche case ed una piccola chiesa. La posizione del borgo ai confini orientali del dominio genovese è strategica; pertanto si ha una vera e propria colonizzazione: soldati e operai si trasferiscono qui per costruire le prime fortificazioni e, poco dopo (nel 1116), una chiesa più grande dedicata a S. Lorenzo.
Nell 1133 l'Arcivescovo di Genova ottiene da Papa Innocenzo II la soggezione canonica del Monastero di S. Venerio. Solo nel 1139, però, Genova acquista formalmente Portovenere dai Signori di Vezzano ed inizia la costruzione di una lunga schiera di case-fortezza secondo rigide norme urbanistiche. Il rafforzamento del paese continuerà poi nel XVI secolo con l'erezione delle mura e del nuovo castello. Su Monterosso, all'altro capo delle Cinque Terre, il potere venne invece probabilmente esercitato da Genova sin dagli inizi dell' XI secolo anche se ufficialmente si trattava di un feudo obertengo passato in mano ai Da Passano, ai Fieschi e ai Malaspina.
Nel 1182 Genova espugna Vernazza dopo che per anni questo borgo marinaro, sotto il dominio dei signori di Ponzo e Corvara, aveva esercitato scorrerie sul mare a danno dei commerci sia genovesi che pisani. Dal 1211 al 1254 Vernazza divenne parte del dominio di Genova e, in virtù della ammirata perizia marinara dei suoi uomini, godette del privilegio (concesso anche a Portovenere) di eleggere un deputato senza il quale a Genova non si poteva deliberare alcuna azione di guerra. Dopo alterne vicende, Vernazza passò di nuovo per breve tempo in mano alla famiglia dei Fieschi.
Nel 1251 Genova chiamò sul Monte Vergiona (probabilmente l'attuale Verrugoli) gli abitanti dei borghi compresi tra Riomaggiore e la Spezia (Montenigro, Cazeni, Cacinagola, Ceroco, Lemine, ecc. corrispondenti a Montenero, Casarino, Cerico, Lemmen ed altri) a giurarle fedeltà nella guerra contro Pisa per il possesso di Lerici. La data che sancisce la definitiva soggezione delle Cinque Terre alla Repubblica di Genova e i1 1276, anno in cui questa acquistò da Nicolo Fieschi i castelli di Carpena ed i diritti su Riomaggiore, Manarola, Corniglia e Vernazza.
Durante il XII e XIII secolo si ebbe una tendenza alla suddivisione delle proprietà fondiarie ed un incremento delle aree agricole che corrisponde probabilmente all'inizio della caratterizzazione del paesaggio delle Cinque Terre con forme simili a quelle moderne: estesi terrazzamenti coltivati a vite ed olivo, boschi di castagno da frutto, boschi da legname.
I rapporti con Genova inserirono il territorio in una vantaggiosa rete mercantile ed una fiorente organizzazione finanziaria permettendo investimenti, commerci di prodotti agricoli (primariamente del vino, che ricevette presto una fama meritata) e disponibilità di cereali. Dai paesi delle Cinque Terre diversi artigiani si recarono a lavorare a Genova e alcuni uomini prestarono servizio nella flotta genovese. In particolare Vernazza, allora la più popolosa, forniva abili marinai e all'occorrenza le navi stesse delle quali possedeva un rilevante numero.
Tra la metà e la fine del XIV secolo l'economia fu caratterizzata da una ulteriore estensione dei terrazzamenti coltivati, ma, soprattutto nei paesi di Monterosso, Vernazza e Portovenere, all'agricoltura si aggiunsero altre attività come la pesca ed il commercio.


DAL XVI AL XVIII SECOLO

In questi secoli si ebbe un considerevole aumento della popolazione testimoniato dalle opere di sopraelevazione delle abitazioni e dall'allargamento della trama edilizia. Tuttavia - non mancarono crisi demografiche provocate da pestilenze e ripetute incursioni turche. Nel 1545, per esempio, dieci navi corsare saccheggiarono Monterosso portando via donne e bambini. Tali incursioni si ripeterono anche nella prima metà del 1700. Quantunque, a causa del relativo isolamento geografico, le Cinque Terre restassero per secoli quasi estranee alle vicende storiche dei difficili rapporti tra Genova e gli altri stati, non mancarono gli interventi sulle fortificazioni medievali e le costruzioni di mura e di torri di difesa come quella di Monterosso, o di castelli come quello di Riomaggiore. Tali fortilizi ebbero funzioni di rifugio durante le incursioni piratesche per combattere le quali si istituirono anche turni di vedetta presso il convento di S.Antonio del Mesco sulla fine del 1700.
Dopo le costruzioni trecentesche delle principali chiese parrocchiali e degli oratori, la vita religiosa si arricchì agli inizi del XVI secolo con la fondazione di due conventi francescani: a Vernazza il convento dei Padri Riformati Minori e a Monterosso quello dei Padri Cappuccini.
L'economia era differenziata: a Portovenere erano sviluppati l'agricoltura, l'attivita estrattiva del marmo portoro e i piccoli traffici marittimi; Riomaggiore, Manarola e Corniglia erano zone esclusivamente agricole; a Vernazza e Monterosso le attività erano equamente suddivise tra l'agricoltura, la pesca e i traffici marittimi. Nell'economia agricola di Vernazza e Monterosso si inserì per circa due secoli (XVI-XVII) la coltivazione del gelso collegata alIa produzione di seta grezza e, successivamente (XVIII-XIX sec.), soprattutto a Monterosso, vennero coltivati anche gli agrumi (in prevalenza limoni e cedri).
Nel settecento esisteva gia una discreta rete di strade longitudinali e trasversali che percorrevano le Cinque Terre; il loro tracciato ricalcava per gran parte i sentieri e le mulattiere attuali. Chi pensasse però che il territorio non fosse del tutto isolato come lo si è sempre descritto, deve tener conto che la maggior parte delle strade non era carrettabile, ma percorribile solo a piedi o con muli.
Sotto il profilo amministrativo nel 1608 i borghi delle Cinque Terre cessarono di essere podesterie autonome e vennero aggregati ai capitanati di Levanto e La Spezia: Monterosso al primo, gli altri al secondo. In base a ciò i trasporti delle merci (vino, capperi, olio, pesci sotto sale, ecc.) avvenivano soprattutto via mare con "leudi" (pesanti imbarcazioni) che avevano i loro scali principali a Vernazza  e a Monterosso.
La Repubblica genovese sottopose i suoi territori a regimi di monopolio e a vessazioni fiscali tali da indurre le popolazioni più povere in uno stato di grave miseria. Gli abitanti delle Cinque Terre erano infatti obbligati a comperare sul mercato di Genova frumento, sale ed altri generi indispensabili e dovevano pagare pesanti gabelle sui consumi di carne, vino, pesce, ecc. La Repubblica di Genova non offrì in contropartita nulla, all'infuori di una lotta generalizzata, ma breve e poco efficace, contro i corsari.

IL XIX E IL XX SECOLO

I
l 1797 segnò la fine della Repubblica di Genova e l'inizio della occupazione francese in Liguria che si protrasse sino al 1814 ( Vedere costruzione del Forte della Castellana, costruzione della strada La Spezia - Portovenere, ed altro). Le guerre napoleoniche portarono seco in questo periodo gli assedi austro-inglesi con blocchi navali ed attacchi costieri che interessarono anche le Cinque Terre. In particolare Vernazza e Monterosso subirono ripetuti attacchi inglesi ne1 1813. I soldati francesi che sorvegliavano la costa lasciarono diverse testimonianze tra le quali, per esempio, la Fontana di Nozzano immersa nel verde dei boschi sopra Schiara ed alcuni elementi architettonici della Casa Boccardi nella Valle di Albana.
Nei primi anni del XIX secolo si verificò un deciso aumento demografico e un graduale aumento della produzione vinicola.
Quest'ultima non divenne però mai sufficiente a garantire condizioni di vita decenti alle popolazioni, soprattutto a quelle dei borghi più orientali (Riomaggiore, Manarola) che non avevano altre fonti di reddito.
L'annessione al Regno Sabaudo determinò  una rapida industrializzazione e militarizzazione del golfo spezzino la cui conseguenza fu un richiamo di mano d'opera nella città esercitato anche sulla popolazione delle Cinque Terre.
La costruzione di fortilizi intorno al Golfo e sull'Isola Palmaria, già iniziata in epoca napoleonica, e, più in generale, l'espansione urbanistica incrementarono l'attività estrattiva e l'apertura di cave anche a Monterosso.
Nella prima meta del secolo si sviluppò a Monterosso e Vernazza l'attivita di una discreta flotta mercantile che tuttavia decadde con l'avvento dei piroscafi e delle navi di grande tonnellaggio.
Nel 1874, dopo la proclamazione del Regno d'Italia, la costruzione della linea ferroviaria decrementò ulteriormente i traffici marittimi locali e favorì un pendolarismo verso i centri industriali di La Spezia e Sestri Levante. Tale pendolarismo si trasformò nel secolo successivo in un vero e proprio esodo, causando l'abbandono di molte aree agricole.
La crisi agricola fu accelerata dalle fitopatie ed in particolare dalla filossera, ma anche dalla eccessiva parcellizzazione delle proprietà, dal perdurare di antiquati e gravosi sistemi di coltivazione, dalla scarsità o mancanza dei più elementari servizi. Solo nell'ultimo decennio si è assistito ad una ripresa della produzione agricola dovuta non tanto ad un recupero delle aree dismesse quanto ad un incremento delle produttività per unità di superficie e all'adozione di moderne tecniche di trasporto (monorotaie), allo sviluppo cooperativistico e ad altre cause.

 


 

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Ultimo aggiornamento: 21-03-08