I Viticoltori di Campiglia

10-06-12

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I viticoltori di Campiglia

 


 

I  VITICOLTORI  DI  TRAMONTI

Biassei /Campioti

Dott. Giovanni Sittoni (Antropologo)

Scritto nel Maggio del 1907

Elaborazione a cura di Federico Leporati

In immediato contatto con Biassa, vi è il territorio di Campiglia, una località che non si differenzia da Biassa se non per il minore numero di vestigia che comunque testimoniano una civiltà che ha origini comuni. Campiglia è raggiunta dalle usanze delle Cinque Terre, ma il carattere della propria gente è lo stesso della gente di Biassa. Questi insuperabili piantatori di viti, mantengono il loro istinto coraggioso, necessario per dare corpo alla coltivazione sui dirupi precedentemente trasformati nelle terrazze dalla loro opera. Più tardi, il prevalere della sedentarietà ha pian piano soffocato gli ultimi accenni di un girovagare che era attivo e tenace. L'allevamento del bestiame, nel tempo, perse ogni rilevanza economica, e di questa attività rimase qualche sparuta testimonianza. Persino gli indumenti tipici di questa gente, che lo donne preparavano con la lana del gregge, caddero presto in disuso. Il tipo di territorio, angusto e particolare, contribuì a modificare l' habitus vivendi. Le prime genti, perlopiù naufraghi, che costituirono l'origine della popolazione di Biassa e Campiglia, furono relegati là dalla forza del mare e dei galeoni genovesi, loro avversari. Da un'origine itinerante, nomade, si passò all' idea ed il gusto nell'apprezzare la civiltà più stabile delle popolazioni costiere, la quiete ed i vantaggi che una vita più sedentaria e più tranquilla ti potevano offrire. La civiltà, ha così incominciato ad impadronirsi di Biassa, e pertanto anche di Campiglia. Dopo otto secoli di vita autonoma ed isolata, entrambe queste popolazioni iniziano diversi scambi con i popoli vicini. Sono solo approcci, ma ben presto, le popolazioni vengono coinvolte totalmente. Il centro abitato di Campiglia, è addossato ad una collina rocciosa, a 405 metri sul livello del mare. Domina due specchi opposti di mare, su uno dei quali, il Colle Coregna, scende quasi a picco. La parte che scende verso Spezia è abbastanza praticabile, la viabilità è costituita da un sentiero primitivo, pericoloso, a volte costituito da gradini disegnati su ripidi banchi di roccia calcarea situati immediatamente sul precipizio, oppure tra lo schisto gallestrino, o fra i massi sporgenti del granito. All'interno domina il bosco, fitto e povero, di castagni e di pini. La parte che scende sul mare di Tramonti è scoscesa, aspra, pericolosa e di difficile transito. La disposizione ondulata e l'uniformità di questi vigneti è fantastica, fa pensare ad una miriade di serpenti boa addormentati. La residenza abituale dei coloni di Coregna, è formata da un gruppo di case ammucchiate, che hanno risentito della civiltà campagnola. Dell'antico stile edilizio resta ancora qua e là qualche reminiscenza che ci richiama malinconicamente alla refrattarietà verso qualsiasi tipo di sviluppo, tipica della gente di Biassa, che è piuttosto in ritardo nel processo di civilizzazione. Il paesetto è pulitissimo, e la viabilità interna costituita da acciottolato regolare e ben conservato. Io rimasi sorpreso nel trovare quest'aria civettuola e una precisione e pulizia così marcata in un borgo delle Cinque Terre, di solito così particolari e selvaggi nei loro paesaggi ma anche trascurati nelle più elementari norme di igiene. E valutando le odierne difficoltà che presenta quell'unica via per raggiungere la cima del colle di Coregna,- difficoltà tipiche di una vera e propria arrampicata, perché chi vuole arrivare a Campiglia bisogna che si prepari ad una lunga, faticosa e difficoltosa scalata di massi schistosi e calcarei- io ripenso a otto secoli indietro, quando fu fondato il paese. Mi chiedo come fosse stato possibile, allora, spingersi fino lassù, da parte di un gruppo di uomini e donne che cercavano la loro dimora, là, tra i più alti ed inaccessibili banchi di calcare, in un territorio impossibile, senza la più piccola speranza, anche in un futuro lontano, di una qualsiasi attività di pascolo, e di una qualsiasi possibilità di ricavo di prodotti alimentari da quel tipo di terreno e di situazione. Ed ancora oggi, quei rudi ed infaticabili uomini di Campiglia, scendono giù a livello del mare, con grossi carichi di di legna sulle spalle, per scambiarla con i prodotti della costa come l'olio e la farina necessari per il loro quotidiano mantenimento. Scendono carichi di legna e risalgono carichi di farina od altro, per quella VIA CRUCIS, che sembra faticosissima anche per chi va solo per escursione e passeggio. Ma ai primi abitanti, interessava di più la posizione che la rendita della località. Infatti è comprensibile che difficilmente le truppe delle due gloriose repubbliche marinare vicine, avrebbero potuto arrivare vive od in condizioni vantaggiose fino lassù. E come non comprendere la mentalità e le abitudini di quei nomadi, stabilitisi in posizione di dominio di due sconfinate distese di mare, che nella scelta del territorio, non mostrarono interesse nè per la pastorizia, nè per l'agricoltura, nè per il commercio, ma solo per la necessità di una posizione difficilmente accessibile? Dall'alto del Coregna dove la vista è magnifica, senz'altro più che non a Biassa, e dove domini uno specchio di mare sconfinato, si poteva segnalare la presenza dei galeoni genovesi o pisani quando ancora erano molto lontani, e potersi difendere. Inoltre era possibile esercitare comodamente e con sicurezza il taglieggiamento o saccheggio sui velieri mercantili di passaggio. In conseguenza di questa posizione di vedetta una lotta corpo a corpo con le ciurme repubblicane diveniva impossibile, tanto quanto la possibilità di espugnare i loro rifugi. Pertanto solamente la fame poteva modificare questo abitus vivendi, e spingere queste popolazioni ad una attività più sedentaria che prese il sopravvento insieme alla piantagione della vite. Nel frattempo si organizzava quella popolazione che in tempi ormai non lontani tendeva sempre più verso una civilizzazione progressiva. Tentando di descrivere Campiglia, una esposizione particolareggiata non sarebbe in linea con lo spirito di quanto esposto. Ciò che fu la vecchia Campiglia lo si può intuire da qualche testimonianza della vecchia edilizia che aspetta di essere completamente rimosso insieme agli ultimi residui di un passato di ostile isolamento. Rimane anche qualcosa di restaurato in modo moderno, che però mantiene particolari di un tempo; ma di veramente originale, che ricordi il vecchio stile gemello di Biassa, non vi è più granché. Sembra, che con la presente generazione, sia consolidata l'idea di rifinire ed intonacare, secondo lo stile moderno, gli antichi casolari. Così ci troviamo di fronte ad un gruppo di case che chiunque definirebbe di recente costruzione. Anche la viabilità interna ha ceduto alle moderne esigenze, non tanto per la praticabilità ma soprattutto per la manutenzione e, solo fuori dal paese il territorio conserva la sua selvaggia fisionomia primitiva. Questi abitanti, che mantengono tanti rapporti di scambio con i paesetti vicini a livello del mare, hanno accettato di buon grado l'dea di una nuovo modo di edificare, come del resto, molti Campioti hanno offerto spontaneamente parte del loro terreno all'amministrazione della Spezia perché possa essere costruita una moderna via carrozzabile tra Campiglia ed il Golfo. Il viottolo selvaggio che unisce Campiglia con Marola, non è ben tollerato dagli abitanti, ma comunque tra i resti di un lontano passato, esso sarà l'ultimo a sparire, come sarà l'ultimo a testimoniare quale doveva essere il tipo di vita, quali gli usi ed i costumi di una stirpe ormai tramontata. Sono parecchi gli spezzini che nei giorni di festa si spingono a Campiglia, per godere un paesaggio che a me sembra essere unico nel suo genere, anche se, tuttavia, il numero triplicherebbe se la viabilità non dico fosse più comoda ma almeno meno pericolosa. Il Campiota lo sa, e sarebbe felice di alimentare attività commerciali e punti di ristoro a Campiglia. Questo e' provato dal fatto che e' facilmente rilevabile come il territorio di Campiglia ha risentito di un avanzamento nella civiltà e nel senso della conservazione rispetto al territorio di Biassa. E' difficile dare un idea della posizione e della disposizione dei vigneti di Tramonti: in questo troviamo accoppiato un qualcosa di artistico insieme alla estrema funzionalità. Il Coregna, per natura arido e schistoso, e' tutto rivestito del classico colore verde vite, dove qua e la compaiono le cantine e squarci di schisto che arrivano fino al mare. E' tutta una coltivazione a terrazze che rivela un passato di lavoro duro ed infaticabile, forte e tenace, un lavoro che dimostra una volontà irremovibile ed un'agilità non comune da parte dei suoi autori. Siamo sulla roccia a picco sul mare, basta un passo falso, un minimo di distrazione per ridurre un corpo umano in un qualcosa di irriconoscibile. Come era la montagna prima della coltivazione? Quale la sua praticabilità quando i popoli dovevano scalarla come capre? Per quanto riguarda la tipologia degli abitanti di Campiglia, essendo essa un appendice di Biassa, i suoi abitanti fino a trenta anni fa non non differivano dai Biassei, sia per l'impenetrabilità che per la selvatichezza del loro carattere. Ma da allora ad oggi i due paesi si sono distanziati tra loro sul cammino della civiltà. Ciò che è adesso Campiglia in quanto a carattere dei suoi abitanti, Biassa potrà diventarlo tra mezzo secolo (forse anche più). Analizzando l'origine del Campiota ritrovi comunque il saraceno, ma della sua gelosia, della sua turbolenza ed anche dell'ospitalità dei vecchi predecessori, non trovi quasi più traccia. Anche la litigiosità, che rimane pur sempre la caratteristica dei vecchi coloni, non esiste quasi più, nella maggior parte degli abitanti di Campiglia rispetto agli abitanti di Biassa. Quali le cause che hanno determinato questo distacco tra due popolazioni sorelle, nel territorio delle quali era comunque ritenuto pericoloso avventurarsi? Noi possiamo spiegare questo fenomeno rifacendoci al fatto come le attività di questo popolo, si sviluppino in una natura aspra, povera, compressa, dove diventa facile chiudersi in se stessi, svolgere il tutto isolatamente. Ma non sappiamo trovare, rifacendoci alla tipologia del territorio della località di Campiglia, un fattore capace di giustificare il rapido progresso negli usi, nei costumi e nel modo di vita che caratterizza la presente generazione di Campiglia. Questo popolazione si scuote velocemente e, dopo circa otto secoli di immobilità nei suoi stili di vita, dimostra come in poco tempo e col passare di poche generazioni voglia rendersi irriconoscibile. Tutta la refrattarietà verso gli estranei, tipica del suo precedente modus vivendi, diventa un amicizia spinta fino ad una serio e convinta volontà di confronto con gli abitanti della marina. La vecchia tendenza del nomade all'attività isolata, che si va pian piano trasformando, fino ad accomunarlo con gli altri popoli sedentari, potrebbe spiegare la graduale ed un po' frenata evoluzione di Biassa, ma non la velocissima evoluzione di Campiglia. Il comportamento della sua generazione attuale, che dopo tanti secoli di isolamento scende dalle cime del Coregna fino al mare, è assimilabile a quello dei decemviri dell'antica Roma inviati in Grecia a copiare le leggi. Al ritorno a Campiglia, il giovane Campiota si sentì oggetto di un mutamento radicale, perché nelle successive discese al mare lo ritroviamo sulle spiagge con il colletto inamidato ed il costume cittadino, intento ad accattivarsi le simpatie delle giovani marinaie (storico). Più tardi, sul Coregna, lo ritroviamo a rimodernare le antiche casupole con pietrisco mal cementato. Possiamo attribuire questo distanziamento sociale tra Campiglia e Biassa all'influenza derivata da un diverso trattamento riservato rispettivamente ai Campioti, dalle affratellanti popolazioni di marinai ed ai Biassei dai più chiusi agricoltori ai piedi del Parodi ? Può essere un ipotesi, ma noi conosciamo poco della storia dei di queste due popolazioni. Non può essere che il frazionamento della Schiatta, in due colonie, possa corrispondere alla separazione naturale dell'elemento meno turbolento (Campioti) dal più irrequieto (Biassei)? Con questo è più facilmente spiegabile la differenza tra loro nell'assimilabilità alle abitudini ed usi delle popolazioni confinanti. Il giovane di Campiglia non è per nulla litigioso, mentre il vecchio Campiota è facilmente litigioso come il vecchio Biasseo. A Biassa anche i giovani sono litigiosi con la differenza che hanno sostituito alla vecchia soluzione giudiziaria una strategia di accordo pacifico. Tuttavia, i giovani che hanno dato spinta alla vecchia immobilità della zona non sono progrediti in maniera omogenea in questo processo di civilizzazione. Trascurato nel vestire il Biasseo, quanto corretto ed elegante pur in un eleganza campagnola il Campiota, troppo attaccato ai propri boschi e luoghi il Biasseo, quanto amante di mescolarsi e confrontarsi con gli altri il Campiota, tutti loro, pur avendo un origine comune come discendenti della stessa zona, nel tempo si sono notevolmente distanziati. Noi riusciamo a comprendere meglio Campiglia dopo aver conosciuto Biassa. Solamente pochi frammenti dell'antica edilizia e pochi ricordi vecchissimi sono rimasti della Campiglia passata. Come appendice di Biassa in fatto di territorio, dal punto di vista etnico resta comunque un appendice. La vecchia ospitalità di Campiglia si è attenuata e resta simile a quella di un qualsiasi paese campagnolo. Rimane intatta in alcuni coloni che non sono riusciti a modificare la loro antica natura. Non esiste la divisione in fazioni come a Biassa, ma il comune tiene nella stessa considerazione gli abitanti delle due colonie, che ritiene ugualmente tanto facili da guidare quanto difficili da governare. In passato comunicava con loro tramite i leader più influenti, due dei quali erano consiglieri comunali e rappresentavano le due colonie. La moderna evoluzione economica ha reso avvicinabili direttamente tutti gli abitanti delle due colonie, totalmente i Campioti, abbastanza ed a seconda dei casi i Biassei. Anche la fissazione dei confini tra le due colonie fu regolata dai coloni stessi con sanguinosi e continui conflitti, ed è ancora nella memoria degli attuali coloni la tradizione delle feroci lotte sostenute in proposito fra Biassa e Campiglia. Ad ogni modo, nessun organismo superiore, allora, intervenne per porre fine alle loro contese per territori che i loro padri si accaparrarono con arbitrio, che loro adesso si ripartivano, da cattivi fratelli, come una proprietà ereditata legittimamente. Ma ciò che più colpisce, è la differenza mostrata da questi popoli ex nomadi, rimasti chiusi per molto tempo nel cuore delle loro boscaglie, nell'aprirsi all'influenza della civiltà con criteri così opposti. Per quanto noi non si conosca tutto di questa popoli, non possiamo mettere in relazione la buona volontà, l'apertura di Campiglia da una parte e la durezza, la riluttanza di Biassa, verso il contatto con gli altri popoli , ad una differenza nella civilizzazione preesistente. I vecchi di entrambe le colonie non si differenziavano nè per l'indole, nè per usi e costumi. Il cambiamento è stato determinato dall'elemento giovane, o meglio, da quella parte dell'elemento giovane che ha prevalso con forza sull'altra parte. Questo fatto, cioè il differente contatto tra i giovani di Campiglia (con i popoli della marina, cittadini) ed i giovani di Biassa (con i popoli degli agricoltori) può spiegare la diversa evoluzione nella civiltà tra le due colonie. Il marinaio, itinerante, nomade per professione ed in contatto continuo con persone di nazionalità diverse, risulta sempre, per qualsiasi estraneo, un compagnone schietto e bonario. Il contadino, rozzo, diffidente e solitario per istinto, non può essere certo un esempio di civiltà e duttilità mentale. Perciò, i primi contatti spontanei ed extraterritoriali del Campiota con i vicini e loquaci marinai, non potevano produrre sulla natura del suo carattere un contraccolpo simile a quello prodotto sul Biasseo da altri rapporti, prevalentemente con dei poveri e solitari agricoltori, poco disponibili per natura, poco espressivi e per nulla espansivi. Vi doveva essere tanta riluttanza nel Biasseo ad avvicinare i suoi vicini, quanta disponibilità e volontà nel Campiota a mescolarsi ai nuovi amici della costa. Questo determinò le differenze citate. Con Campiglia termina la porzione delle Cinque Terre posta verso il nostro Golfo, l'altra porzione continua e si allaccia con Biassa dalla parte di Tramonti, al di là del Golfo e della valle spezzina. Questa seconda zona, comprende Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Monterosso e Vernazza, che sono colonie dove si pratica la coltura della vite e che già da un pezzo hanno aperto i battenti alle ondate della civiltà ligure. Con Biassa e Campiglia finisce pure la descrizione di uno strano frammento di territorio e con Riomaggiore se ne apre un altro altrettanto particolare ma meno "chiuso" anche per usi e costumi differenti. Il biasseo-campiota, attraverso le sue trasformazioni da pastore, a pirata, a viticultore, è riuscito a conservare le sue peculiarità. Egli non sa adattarsi fuori dalla boscaglia ed il mare dove, sulla roccia a picco, ha costruito le sue coltivazioni. Vive distanziato da qualsiasi altro popolo, tra il mare ed il bosco. La psiche del colono ha un doppio modo di manifestarsi. Il biasseo è astuto e calcolatore quando tratta i propri interessi economici, mentre diventa poco riflessivo di fronte ad un episodio che lo coinvolge come parte in causa. Asseconda facilmente l'impulso del momento, senza lasciarsi guidare da altre considerazioni, senza dedicare nemmeno un attimo al pensiero sulle possibili conseguenze del suo modo di operare. Per cui, quel pò di denaro che egli guadagna con il suo duro lavoro, gli viene assorbito per far fronte alle spese che rappresentano la conseguenza logica del litigio. Il biasseo è sempre in cerca di litigi. A soddisfare la sua irrequietezza basta una causa da niente. Pertanto è facile che litighi continuamente. Le sue migliori disponibilità mentali sono così spese interamente nell'attenzione verso i problemi legati alla gestione della controversia; nella viticoltura, come nella vinificazione, egli segue le pratiche di una tradizione probabilmente secolare. E' nemico delle innovazioni, appena adesso accenna a muoversi verso qualche contatto al di fuori della sua realtà. Nei suoi propositi è risoluto ed irremovibile, ma queste buone qualità sono annullate dal suo modo di agire penalizzato dalla sua faziosità. La sua diffidenza è proverbiale. Fuori dal suo territorio con poco può rendersi ridicolo. Al di fuori del paese, da qualcuno che lui considera vero amico, si lascia facilmente convincere ed abbandona la diffidenza ascoltando con aspetto bonario. Ma se improvvisamente interviene nella discussione un conoscente conterraneo od uno sconosciuto, egli torna ad assumere un comportamento chiuso e riservato. Spesso, per fargli capire una cosa bisogna perdere molto tempo nella spiegazione. Dopo molto sforzo, è molto facile che dimostri di non aver capito niente. Ma questo è dovuto alla sua diffidenza, perché quando vuole capire, sa capire. Probabilmente, invece di ascoltare, si abbandona ad interpretazioni che l'interessano di più. Il suo cervello è un serbatoio di cavilli da elaborare e di interessi da consolidare. E' sintomatico, che se il Biasseo lo si consiglia differentemente dal suo modo di vedere già prestabilito, anziché ribellarsi, preferisce non ascoltare pur fingendo di farlo, e nel frattempo si autoconvince sempre di più della validità della sua idea. Tuttavia egli non diventa diffidente verso l'interlocutore che non ha saputo comprenderlo, e la volta successiva, è capace di tornare da lui per chiedere consigli. Del resto, questo strano popolo che produce prevalentemente vini, e che nei suoi sette/ottocento anni di vita coloniale ha dovuto sempre spostarsi verso i popoli più a valle per procurarsi i generi alimentari e barattare i suoi vini, si ostina ancora a mantenere il suo isolamento nei boschi. Questo è strano, data la sua abitudine allo scambio. Siamo di fronte a mentalità forti che sanno resistere nei secoli, ad un popolo la cui combattività doveva essere straordinaria. Le caratteristiche mentali del biasseo-campiota, sono la furberia e la dissimulazione, che lui applica sempre quando e' in discussione. La passione più forte dei coloni consiste nello scontrarsi nelle sale giudiziarie. La supremazia tra i biassei è determinata dal tipo di mezzi di cui può disporre per ottenere le sue vittorie……. giudiziarie. Chi non ha mezzi nè amicizie non ha diritto alla buona considerazione del paese. Per questa ragione molte famiglie si indebitano e vanno in rovina e molte altre si impoveriscono. Purtroppo le autorità non hanno mai fatto nulla di concreto per questo popolo che distrugge nelle lotte intestine il frutto delle sue fatiche e delle sue privazioni. Si racconta, che eventuali mediazioni tentate dai parroci dell'epoca, in nome della chiesa, in funzione della pace e dell'armonia, non andarono a buon fine. L'azione dei parroci, non è consigliabile tra questi turbolenti. Non sono molti anni, per esempio, che uno dei tanti parroci del tempo, Don Delvigo, si salvò miracolosamente da una trappola preparatagli sopra la porta di casa. La trappola a base di grossi macigni, era stata disposta nella notte, in modo tale che qualora il parroco avesse aperto la porta stessa, sarebbe rimasto schiacciato. Nella colonia non si ha nessuna traccia di una religione antica. Il colono è tanto attaccato alla chiesa quanto lo è verso il parroco il giorno in cui lo esilia e lo caccia a pedate dal paese. La colona, invece, è più mite, e sa seguire il rito cattolico, per cui le pratiche religiose si possono considerare affidate alle donne. Ma il colono è tanto pigro nelle manifestazioni di vita civile quanto laborioso nel lavoro campestre. Egli, che da secoli produce il suo vino, non usa assolutamente questa attività a scopo speculativo e commerciale. Nessun biasseo ha mai pensato ad aprire delle rivendite, che mancano del tutto in questo paese. Attualmente, un commerciante forestiero ha aperto un esercizio nel paese, per cercare di approfittare dei bisogni più urgenti degli abitanti, lucrando; prima del suo arrivo i biassei scendevano fino a la Spezia per procurarsi i generi necessari al loro sostentamento. Tuttavia, il lungo e penoso tragitto e la considerevole quantità di tempo sottratta al loro lavoro, non hanno mai determinato l'idea che potesse nascere la necessità e la convenienza di un commercio al minuto nel paese. E' comunque sempre l'anima del nomade che si combina con la sedentarietà forzata. All'infuori dei vigneti e dei casolari di pietra, niente altro determina, a Biassa un secolare immobilismo. Le caratteristiche che i primi nomadi seppero e vollero dare durante il primo secolo del loro insediamento, non è molto differente da quello che la zona presentava solo dieci anni fa oppure oggi stesso. L'indole combattiva di quei primi arrivati, si tramanda così facilmente da contribuire a rendere ancora più dura una vita già pesante per il lavoro. Tutti gli slanci di queste persone, contrastano fra loro in quest'ambiente dove vive questo popolo tanto tenace ed irremovibile nei propositi quanto instabile nell'umore. La perseveranza nell'alimentare l'amore per l'indipendenza, ha fatto si che i governi liguri, fino a pochi anni fa si disinteressassero della vita interna di questa popolazione, accontentandosi di conoscerne soltanto la situazione esattoriale. Ma le misure profilattiche moderne hanno spinto le autorità civiche ad intervenire in quella parte di territorio comunale. Tuttavia si è riusciti a rimuovere ben poco di quella secolare immobilità. Con approssimazione, il comune recentemente è riuscito ad inserire un tentativo di scuola elementare. Ma l'abitante di questo luogo saprebbe anche farne a meno facilmente, perché di sua iniziativa non avrebbe mai osato chiederla. Il biasseo considera come intruso nel suo territorio, non soltanto un estraneo da cui diffidare, ma considera tali anche le eventuali imposizioni che riceve da organismi extracoloniali. Si hanno molti episodi in proposito, al punto che le popolazioni della valle li considerano come casi oggetto di ridicolaggine. L'indulgenza generale nel valutare il comportamento dei biassei, è servita a salvaguardarlo dal rigore delle autorità comunali, che hanno fatto il possibile per non creare dissidi fra loro e i loro agenti sanitari. Ma la lentezza della civilizzazione è enorme se non addirittura trascurabile. Le conoscenze del biasseo-campiota si basano sulla forza delle tradizioni. Le sue condizioni di vita, nel complesso, non l'hanno molto aiutato ad allargare le proprie capacità mentali. Il traguardo principale di quella parte di popolazione che è impegnata ad alimentare utilizzando la componente mentale, è nel cercare di mantenere ciò che e' stato trasmesso. Gli uomini si occupano della manutenzione e conservazione dei vigneti, le donne della tessitura delle stoffe di lana, della tosatura delle pecore e del confezionamento degli abiti. Ultimamente si è creata un pò di confusione: la donna ha smesso di tessere ed è passata ad aiutare l'uomo nel lavoro dei campi. Il colono non ha tendenze particolari nè per la caccia nè per la pesca. Coltiva principalmente il vigneto, ma nella vinificazione è rimasto immobile al metodo dei primi coltivatori. La potenzialità qualitativa dei suoi vini triplicherebbe se egli decidesse di operare secondo i criteri della tecnica enologica moderna. La cosa che limita ancora lo sviluppo mentale del colono e' il grande amore per l'indipendenza insieme ad una grande fermezza nei propositi. Ogni tentativo di penetrazione da parte dei valligiani, si scontra con la diffidenza del biasseo. Di qui l'impossibilità da parte di questo popolo a stringere amicizia, rapporti con gli altri popoli, ed accettare idee extra territoriali innovatrici per le sue attività locali. Anche la particolarità e l'asprezza dei suoi difetti si è conservata per l'anarchia che ha caratterizzato il paese nel tempo. L'abitudine che si ha in queste colonie, di dare ai figli, ai nipoti, ecc…. il nome del padre (che è poi quello del nonno), dello zio (che spesso è quello del padre, del nonno, ecc…) provoca una confusione tale di omonimie, che i coloni, per riconoscersi, debbono ricorrere a dei soprannomi. Tutti i biassei/campioti hanno un soprannome e non è possibile identificarli che per quello. Domandate ad un colono se conosce il tal dei tali, nel novantanove per cento dei casi lo metterete in imbarazzo. E' difficile raccapezzarsi fra tanti abitanti che portano lo stesso nome. Molti abitanti non vengono riconosciuti che per soprannome. Se utilizzate tratti fisionomici per l'identificazione, non lo aiutate molto di più, perché tra i biassei la fisionomia non è in grado di differenziare, a distanza, un individuo dall'altro. L'unica possibilità di rintracciare un abitante è quella di conoscerne il soprannome. Questo offre motivo di discussioni e litigi al momento di raccogliere un eredità, inquantochè spesso si presentano anche quelli che hanno nell'omonimia l'unico pretesto per poterlo fare, tutto questo sostenuto dall'astuzia del litigio e dalla prepotenza. Anche l'esattore delle tasse, ha molto da fare, per liberarsi delle insidie tesa dai biassei, sfruttando questo stato di cose. Ad aumentare la confusione ha contribuito la mancanza d'incrocio. I biassei si sono sempre sposati nel paese. Molte famiglie pur avendo lo stesso cognome, hanno perso in seguito ogni traccia della loro antica parentela. I cognomi degli abitanti di Biassa si riducono a 3 o 4, per cui molte famiglie diverse hanno tra i loro appartenenti degli individui che portano lo stesso nome, cognome e paternità.
Data la solidarietà morale che lega tra loro gli abitanti di fronte ad un inserimento dall'esterno, questa omonimia reca delle difficoltà, a volte insormontabili alla polizia di La Spezia. Anche se si trattasse di un omicidio per mandato, i coloni intendono affidare qualsiasi procedimento agli ingranaggi dei loro ordinamenti politici interni. Per cui essi, a qualsiasi fazione possano appartenere, parlano poco o si dimostrano vaghi su tutto ciò che può fornire materia di indagini alle autorità di pubblica sicurezza, ed involontariamente avvolgono le vicende in un labirinto di contraddizioni. Il loro attaccamento alle regole interne non conosce barriere. La solidarietà famigliare è la prima a venire sacrificata. Si può dire, anzi, che continuando a sacrificarla, è venuta meno, piano piano negli scontri tra le varie fazioni. La tradizione non riporta alcun caso di queste discordie intestine, e perciò i biasseo/campioti non presentano alcun fatto di significato storico. In ciò è determinante il fatto che gli episodi si svolgano su di un territorio "straniero" sottoposto alla sorveglianza ed all'intervento anche "punitivo" delle autorità extra coloniali, comunque più forti e sempre vigili. Di fronte ai tentativi di investigazione delle autorità, il colono è "muto e cieco"; egli non sa e non ha visto nulla di ciò su cui dovrebbe essere interrogato. Se proprio il caso lo richiede, allora parla, ma per sviare le indagini ed imbrogliare ogni cosa. Il "malcostume" del silenzio ha impedito il passaggio dei fatti storici della colonia attraverso le generazioni. Un omicidio per mandato, eseguito il 20 giugno 1892 ai danni del consigliere comunale di Biassa, Antonio Rossi soprannominato Pio nono (membro della fazione dei Paolotti), ad opera della fazione Mano nera, ebbe un lungo strascico nei tribunali. Ma il processo non chiarì mai la vicenda, e la verità non si saprà mai. I biassei non amano parlarne, essi non sanno niente, non hanno visto niente, non ricordano più niente. La tradizione non raccoglierà certo questo episodio che pure descrive l'antagonismo di due fazioni che spaccarono Biassa dal 1880 al 1892. Lo sviluppo storico di queste due popolazioni è oscuro nei suoi particolari. Si sa che durante le loro contese le funzioni religiose erano turbate, le chiese chiuse, ed abbastanza frequenti le risse ed i disordini. Le due fazioni sorsero nel 1880, quando al parroco Giovanbattista Carro, assalito sull'altare mentre predicava, venne strappata di mano la reliquia di San Martino. Fu da allora che la frazione preesistente Stella d'Italia prese il nome di Mano Nera. Il ciclo storico di queste due fazioni si chiuse nel 1892 con l'omicidio di Pio Nono, membro ininfluente delle fazione dei paolotti rimasta fedele al parroco, dopo che era partito per l'esilio. E' difficile definire le doti mentali di questo colono che fu "aperto" quando era nomade e diventò "refrattario" nella sedentarietà. Il biasseo-campiota è un equivoco. Anche negli usi e modi dei nomadi poco rimane per orizzontarci. Possedeva l'arte del tessere in maniera molto avanzata. Nel suo territorio fu pastore e guerriero, ma guerriero specialmente nelle manifestazioni più caratteristiche della sua indole. Solamente che l'idea della guerra, conservata nel brusco passaggio alla sedentarietà su di un territorio mancante di tutto, non poteva incidere sulle spinte che portano al progresso della civiltà. L'immobilità non poteva risparmiarlo, e perciò rimase immobile nelle primitive estrinsecazioni della vecchia indole. Indipendente e fazioso, tenace e risoluto, astuto e concreto. Che cosa ci spiegano questi questi sette , otto secoli di sedentarismo? Nessuna idea differente, innovativa ha modificato nel tempo le originarie abitudini della zona. Anche i casolari che caratterizzano la Biassa di oggi , sono pur sempre i casolari di un tempo, I metodi di manutenzione e di conservazione dei vigneti, non sono oggi meno antichi di quelli adoperati per la vinificazione. Non ci sono parole di fronte a tale immobilità. Dopo parecchi secoli di vita tumultuosa tra i boschi, refrattaria ad ogni contatto civile, assorbita nel duplice impegno dei vigneti e delle fazioni, i biasseo-campioti solamente da un ventennio sono apparsi sulla scena della storia. Se il loro passato di coltivatori evidenzia un popolo dotato di una forza ed una volontà non comuni, oggi abbiamo di fronte gente la cui caratteristica principale è l'astuzia e la concretezza. In quella secolare chiusura in se stessi e difficoltà a rapportarsi, tra le difficoltà di un lavoro duro e le incertezze nel procurarsi da vivere, tra fatiche terribili e rapporti difficili con i vicini, in località nude, orribili per disponibilità, tra rocce e dirupi, soggetti all'imprevedibilità delle stagioni, si è completamente persa l'idea di ogni attività intellettuale. La libertà dell'individuo era interpretata come premio alla resistenza alle sue privazioni e alla sua fatica. Le caratteristiche dell'ambiente e le caratteristiche dell'indole non potevano ispirare altro obbiettivo differente dal perfezionamento della propria abilità e della propria agilità fisica. Ma chi ha fermato l'evoluzione del lavoro e' stata proprio la mentalità stessa regnante nella zona. Il biasseo-campiota, come ce lo hanno dimostrato i suoi boschi, non è che un elemento capace di resistenza fisica. Egli non ha lasciato nessuna traccia scritta, niente ha lasciato di monumentale altro che la sua monumentale coltivazione a terrazze, nè a proposito della tessitura, ha creato altro che accenni ad un qualche cosa di artisticamente elevato. Perché, tanto la coltivazione a terrazze che è una testimonianza secolare del lavoro proveniente da un attività lenta e titanica, quanto l'arte della tessitura, che rappresenta la storia dei costumi coloniali, sono troppo correlate con la lotta per la sopravvivenza per essere interpretate come manifestazioni di ordine culturale e morale elevato. Questo prevalere dell'elemento materiale, collocato in una evoluzione tranquilla e continua della zona, avrebbe dovuto condurre ad una civilizzazione molto vicina a quella riscontrabile nell'evoluzione generale. Il biasseo-campiota, che nel tempo ha mostrato una diligenza e perseveranza nel lavoro, degne della più incondizionata ammirazione, non ha saputo rinunciare alla sua combattività. Pertanto, accanto alla storia che descrive il lavoro, procede in parallelo, una storia fatta di lotte intestine, che hanno reso impossibile la costituzione di una autorità forte. Da qui deriva l'immobilità se non addirittura il regresso. L'arte nel costruire edifici, da parte di queste genti, ci riporta alle prime architetture in pietra. Le case sono testimonianza di vita permanente, ma si capisce che risalgono a molto tempo addietro. Sembrano comunque costruzioni di nomadi che sono appena passati dalla vita vagante a quella sedentaria. Sono arrivate fino a noi intatte, come se avessero subito una immobilità edile. Tutte le case sono di pietra ed hanno due piani: il pianterreno contiene due camere basse e buie dalle quali una scaletta porta al piano superiore. Nessuna camera e' piu' alta di un metro e settanta circa e nessuna porta supera l'altezza di un metro e 40. Viste dal basso queste case raggruppate, assomigliano perfettamente a dei castelli. Dal punto di vista architettonico sembra di trovarci nei paesi dell'occidente tra i Berberi Shellunt per esempio. Ma e' un concetto architettonico che a Campiglia è scomparso quasi del tutto. Il fatto che i coloni indossassero, fino a poco tempo prima, abiti di lana, provano che questo popolo, prima del sedentarismo attuale, fu anche allevatore di bestiame. Il fatto che le stoffe di lana tipiche del loro abbigliamento, fossero di loro fattura, dato che la tessitura era tra loro una delle principali occupazioni, consente di associare all'allevamento del bestiame una prima idea differente per l'utilizzazione di tale attività. Il territorio di Biassa non è certo adatto all'allevamento del bestiame, pertanto noi non possiamo pensare ad una remota civiltà; pastorale a proposito di questi popoli, che tuttavia nell'arte del tessere si dimostrarono capaci di un metodo originale di lavorazione. Ma anche riguardo il linguaggio, la religione, e i segni distintivi principali di questa zona, ci riesce difficile dare un idea esatta. Si tratta di un gruppo di "sbandati" troppo diversi e lontani nel tempo e nello spazio dai loro paesi di origine. Di allora non e' arrivato a noi che il costume antico dei vecchi coloni. Tutto il resto e' scomparso. Si sa pero' che nelle caratteristiche dei modi di vestire delle donne, vi era una distinzione precisa fra vedove, vergini e sposate. Si sa che loro usavano andare armate e che non erano meno pericolose e turbolente degli uomini. Si sa che le donne usavano portare con se le forbici, accessorio tipicamente femminile che poteva trovare anche differente impiego dalla sua vera funzione, poiché le donne avevano dimostrato spesso di farsi valere e di poterle utilizzare come arma di difesa. Fino a poco tempo fa, le donne portavano in testa una specie di turbante bianco al quale davano il nome di tuagin. Il turbante della vergine biassea era ricamato di rosso. La differenza fra una vedova ed una maritata consisteva in una fettuccia nera che attraversava la fronte della vedova e si allacciava sui capelli della nuca. Si dice che le donne, in chiesa usavano sedere a terra con le gambe incrociate, mentre gli uomini stavano in piedi dietro di loro. Tra gli ornamenti, il più caratteristico è la fettuccia. La fettuccia, fissa, svolazzante, avvolgente, fa parte integrante del costume femminile e la si ritrova dappertutto: fra i capelli, nel corpetto, nelle gonne. A detta loro doveva avere una parte importante nell'abbigliamento femminile. Gli antichi orafi erano troppo lontani per potere risalire all'origine della loro arte e maestria. L'oro era di lavorazione ligure. Tra gli ornamenti ci si può orientare tra i tanti, tipici, in uso nella regione. Le donne di cent'anni addietro, usavano orecchini tempestati di varie e colorate pietruzze. Sul petto usavano portare una medaglia o una crocetta d'oro. Non si sa altro e non si può andare oltre nell'esposizione. Non sono meno importanti i ricordi che rievocano i vecchi riti. La morte di un abitante era annunciata da un pandemonio di urla e di imprecazioni. Ad alimentare queste urla concorreva tutto il vicinato, in aiuto dei parenti stretti. Le grida facevano pure parte del programma di ogni corteo funebre. Esse accompagnavano il morto fino nella fossa. Sulla fossa, ogni parente in preda alla disperazione, lanciava una "manata" di terra. Il battesimo non era meno caratteristico e curioso. Un lungo codazzo di persone accompagnava il neonato dalla casa dei parenti al fonte battesimale. Di queste persone, una si collocava in testa al corteo, facendo strada accompagnata dal suono dell'armonica. Il ritorno dal rito, era caratterizzato dallo stesso insieme coreografico, con l'aggiunta del prete che si collocava nel corteo subito dopo il battistrada che suonava. Anche il matrimonio non mancava di particolarità: il fidanzato, nel recarsi a casa della futura sposa per condurla alla chiesa, portava dietro di sè un gruppo di amici. Il bianco turbante della vergine biassea, quel giorno appariva ricamato e stirato con cura. A proposito del matrimonio, è molto conosciuta in Biassa una leggenda secondo la quale, in epoca molto remota, nel piazzale, dove poi sarebbe sorta la chiesa, veniva allevato con cura un albero gigantesco. Sul ramo più alto di questo albero era stato posto un berretto rosso (uguale a quello indossato dai biassei). Questo berretto aveva caratteri sacri poiché alla sua ombra avvenivano le cerimonie matrimoniali e pertanto, i passanti dovevano inchinarsi, pena, in caso contrario, la morte. L'albero aveva naturalmente la sua guardia d'onore permanente e ben armata. Una persona, che rappresenta oggi la famiglia più numerosa del paese, mi raccontava che un suo parente di allora, un giorno tirò una fucilata al berretto rosso (probabilmente per odio di parte) e la conseguenza fu l'arresto e la condanna a morte. Si salvò solamente perché il sommo sacerdote che officiava quello strano rito, testimoniò, all'ultima ora, di avere ricevuto in sede di confessione, dal Rossi, la dichiarazione che la pallottola che perforò il berretto sacro gli era sfuggita inavvertitamente dal fucile e solo per combinazione aveva avuto quella traiettoria. La storia narra altro riguardo l'albero. Quell'epoca doveva essere piena di discordie interne, poiché la leggenda dice che ai piedi dell'albero era attiva una fazione. Questa fazione affrontava i passanti gridando:"Chi viva?". Se il passante rispondeva "Viva Gesù Cristo e la Madonna" era subito fucilato- se invece gridava "Viva la libertà" (le parole dovevano essere sacramentali) lo si trattava da amico ed all'occasione lo si festeggiava. Anche i litigi amorosi si caratterizzavano per la loro turbolenza. Nel caso di abbandono, il fidanzato si recava con altri amici sotto la finestra della ragazza che aveva scelto un altro amore, e là cantava i "dispetti" (termine locale per indicare quella specia di stornelli). Il nuovo fidanzato, naturalmente, rispondeva dalla finestra con altri "dispetti". Il duello poetico(?) si protraeva fino a tarda ora fra insulti e minacce ….in rima. Probabilmente, data l'indole dei coloni, nel passato poteva condurre anche a conseguenze tragiche, ma i vecchi coloni confermano la non violenza di questa particolare formalità. La religione, a Biassa ha come patrono San Martino. La scelta è caduta su di un santo guerriero. Gli abitanti hanno messo il territorio sotto la protezione di un ….santo, nomade. Era più facile intendersi con Dio, secondo gli abitanti, godendo della protezione di un santo armato di lancia, piuttosto che sotto quella di un santo armato di messale. Questo popolo non è povero in fatto di musica, ma in fatto di strumenti musicali, in sette secoli non si è evoluto un gran che. Il canto ed il ballo, come la vita, erano prevalentemente esercitati all'aperto. Non sempre il canto è distinto dal parlare comune. Quando l'argomento è commovente l'interpretazione diventa cantata, ed il tempo viene determinato dal grado della partecipazione passionale. Non soltanto la gioia, ma anche la rabbia spingono il colono a cantare. E' il caso, per esempio delle canzonature. Non mancano neppure motivi che rievocano antichi rancori tra abitanti di fazioni contrarie. Un'altra leggenda può dare l'idea delle difficoltà economiche a cui è sempre stato sottoposto questo popolo sperduto tra le rocce. Vi fu un anno in cui la carestia fu di tale portata da rimanere memorabile. A quest'anno di carestia ne seguì uno di una non meno memorabile abbondanza, per cui la gente, che aveva sofferto molto l'anno prima, si rifece mangiando oltremisura. L'intestino, che si era molto ristretto durante l'anno della carestia, si adattò male alla funzione differente dell'anno dell'abbondanza e così il paese fu devastato da una terribile moria. Morirono tutti, giovani, vecchi e bambini e si salvarono solo due persone, un uomo ed una donna. E Biassa, da qui fu rifondata. Il ballo non ha particolari originalità, però è molto movimentato. In questa attività il bacio e l'abbraccio rivestono una funzione importante ed ufficiale. Il bacio e l'abbraccio hanno la stessa funzione nel ballo, come l'ha il ritornello nella canzone. Ma all'infuori del momento dedicato al contatto, l'uomo piroettava ad una certa distanza dalla donna, e il suo scopo era quello di arrivare coreograficamente ad un abbraccio . Lo scopo della danza era quindi quello di far trasparire chiaramente l'espressione dei sentimenti. Questo è l'unico esempio in cui il bacio e l'abbraccio facciano parte ufficialmente del ballo. Anche in questo i biassei-campioti si distinguono chiaramente dagli usi e costumi dei vicini. Malgrado l'immobilità secolare, la zona presenta veramente poco di sedentario. Il credo resta sempre: Autonomia ed Indipendenza, la patria è pur sempre la foresta, l'ordinamento politico è sempre la fazione, la base della vita è pur sempre la combattività. Questa gente non vede se stessa che all'aperto, al sole ed ai venti, e non ha nemmeno rinunciato ai limiti provocati dalla loro indole. Vi è qualcosa di pesante, limitante deprimente in questa arte ed esercizio della coltivazione che va di pari passo con uno sviluppo degli ordinamenti politici e religiosi. Si ha l'impressione di un'attenzione troppo forte per i più rudimentali elementi della vita, ed una trascuratezza completa di espressioni umane e vitali più nobili ed elevate. Questo ha radici profonde nella natura della vecchia indole che esprime i suoi valori non tanto nell'attività mentale ma nella vita materiale, fisica. Non tanto nello slancio, nelle intuizioni ma nella continuità, perseveranza, ed abitudinarietà.  Questa filosofia materiale, non può avere effetti negativi. Ci si trova di fronte ad un popolo abituato all'agricoltura ed allo scambio, ed in parte ai mestieri manuali. Questo è frutto di una lontana eredità e perciò è forte e non può essere cancellato dalle ondate della civiltà che incalza. Non può essere distrutto come da un'epidemia. Il popolo biasseo-campiota è forte di muscoli e allo stesso tempo è forte nelle sensazioni, nei sentimenti. Esso contrasta con popoli invecchiati nella civiltà che avanza. Il suo sangue giovanile, pieno di slancio, è di quelli che contribuiscono a rinvigorire i sentimenti nell'animo delle genti "civili ma invecchiate nel progresso"

 MAGGIO 1907

 



 

 

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Ultimo aggiornamento: 04-06-03